Com’è cambiata la mia sensibilità da quando fotografo neonati
Ricordo perfettamente il primo servizio fotografico con un neonato. Avevo il cuore che batteva forte e le mani quasi tremanti. Non per l’ansia di sbagliare tecnicamente — quello si supera con lo studio, l’esperienza, l’allenamento — ma per la consapevolezza di avere davanti a me qualcosa di straordinario: una vita appena sbocciata, nonostante le mie due maternità.
Da quel giorno, qualcosa dentro di me ha iniziato a cambiare. Fotografare neonati non è solo questione di luci, pose o dettagli curati. È una questione di ascolto profondo. Di tempo che si ferma. Di uno sguardo che impara a cogliere il non detto, il respiro, il silenzio pieno di significato.
La mia sensibilità è diventata più fine. Più presente.
Quando lavori con un neonato, ogni gesto deve essere lento, attento, rispettoso. Non si può forzare nulla. Tutto avviene solo se c’è fiducia, se l’ambiente è sereno, se anche io, come fotografa, riesco trasmettere calma e sicurezza. Ho imparato a riconoscere ogni piccolo segnale: una smorfia, un piedino che si muove, un respiro che cambia ritmo. Ho imparato a sentire prima ancora di vedere.
Col tempo ho capito che la mia presenza è qualcosa di più di uno sguardo tecnico o artistico. Le neomamme — spesso stanche, emozionate, ancora in balìa del nuovo mondo che stanno conoscendo — si affidano a me completamente. Colgono in me non solo la professionalità, ma anche una forma di aiuto silenzioso, di conforto. E si lasciano guidare. È come se percepissero che sono lì per prenderci cura, insieme, di quel momento così delicato.
Questa nuova sensibilità non si è limitata al mio lavoro. Ha attraversato la mia vita come un’onda silenziosa. Mi ha insegnato a rallentare, ad ascoltare davvero, a rispettare i tempi degli altri. A meravigliarmi delle piccole cose. Perché quando trascorri ore a osservare le ciglia sottili di un neonato, il modo in cui stringe istintivamente un dito, la piega perfetta della sua bocca… qualcosa dentro di te cambia per sempre.
Oggi so che ogni sessione con un neonato è un incontro unico. Non è solo un servizio fotografico: è una storia che si scrive insieme. Un dialogo fatto di mani che accarezzano, respiri che si cercano, amore che trabocca dagli sguardi dei genitori. E io, lì in mezzo, con la mia macchina fotografica tra le mani, provo a raccontare l’invisibile.
Fotografare neonati mi ha insegnato anche a lasciar andare il controllo. A capire che non tutto può essere previsto, né perfettamente pianificato. Ogni bambino ha la sua storia, il suo ritmo, la sua unicità. E io ho imparato a seguirli, ad adattarmi, ad accogliere quello che c’è, così com’è.
Nel tempo, questo lavoro ha nutrito in me una sensibilità più autentica verso l’essere umano. Mi ha reso più empatica, più attenta, più vera. Ha dato nuova profondità al mio modo di vedere, non solo con gli occhi, ma con il cuore.
E se, a fine sessione, una mamma mi guarda con gli occhi lucidi e mi dice: “Non pensavo che un’immagine potesse toccarmi così nel profondo”, io capisco che quella sensibilità coltivata nel silenzio, nello sguardo, nella cura… ha trovato la sua voce.
Per questo, ogni volta che fotografo un neonato, so di essere fortunata. Perché, nel raccontare la sua storia, racconto anche un po’ della mia.